
Dipendere dall’umore di una mamma è un’abitudine che si coltiva in pochissimo tempo. Lei ci ama troppo. E noi, troppo lei. Tutti gli equilibri delle relazioni affondano in quella forma antica che ci ha generato, ed è impossibile farne a meno. l legame tra madre e figlia è come due anelli intrecciati, inseparabili. Mai concentrici, a volte uno appeso all’altro, si sfregano di continuo, ma ogni loro punto è forte e debole allo stesso modo. Non ci sono spigoli. Ogni cosa ferisce nello stesso modo, e nessuna delle due può scappare.
Sei stupida. Sei troppo magra. Non prestare niente alle tue amiche. Sei egoista. Non sono la tua serva. Smettila di piangere. Stammi vicino. Non mi capisci.
Perché mi fai questo? Perché mi sento sola. Temo la tua rabbia. Non so cosa dirti. Sono piccola. Lasciami stare. Ti odio. Smetto di mangiare. Smetto di piangere. Smetto di parlare. Non ricordo come si sorride. Digerire il dolore di qualcun altro non è responsabilità nostra. Digerire la sofferenza delle mamme non spetta alle figlie. Non siamo noi che le abbiamo lasciate, non siamo noi che non abbiamo amato la loro intelligenza, non siamo noi la loro ferita. Spesso però, ci accudiscono come tale, come fossimo un taglio profondissimo da disinfettare, fasciare, strofinare, coprire, nascondere. Qualcuno ha tolto loro qualcosa e lo cercano nel fondo della propria carne. Ma fuori vedono solo noi, perché è da lì che veniamo.
Anche se la mente non ascolta altro che la sua voce chiedere aiuto, noi cresciamo, soffriamo e gioiamo. Noi, da sole. E lei lo vede. Vede la distanza aumentare, da lontano si chiede se stiamo fuggendo, se può ancora fare qualcosa per tenerci vicine. Ma lo siamo mai state? Di cosa sento la mancanza? Mi manca lo spazio del mio corpo, troppo simile al suo. Quello della mia mente, per non vivere l’ansia di essere me, perché non sono mia figlia. Mi mancano le sue mani. A te, che cosa manca?
Vedi una bambina diventare grande e speri sia diverso per lei, sia meglio di quello che è stato per te. Vorresti darle metà del tuo cuore perché non si rompa il suo, proteggere ogni centimetro del suo corpo, prevedere ogni orrore e piangere al posto suo.
Sarebbe bellissimo ricoprirla di baci e non avere paura del futuro, sarebbe bellissimo non lasciarle il vuoto che hai dentro.

E invece, quel vuoto serve. Siamo due cerchi della stessa misura, graffiati, uno più lucido dell’altro, ma due cerchi mobili che mai si sovrappongono e sempre restano insieme. Quel vuoto lì può essere una distanza bellissima. Ci guardiamo dagli estremi, abbassiamo la voce, mettiamo a fuoco i nostri visi e scopriamo una storia che non avevamo mai visto.
Lo faremo insieme, ma stavolta sono io a non volerla abbandonare. Fotografie di Sara Lorusso